Astrolabio 1970/11 – 15 marzo 1970
Dapprima pochi isolati poi intere comunità. Da don Milani a oggi il dissenso ha fatto passi da gigante nella chiesa italiana. E la gerarchia ha trovato tenaci avversari
Qualche anno fa, dopo il Concilio, hanno avuto il permesso di togliersi la tonaca e il collarino bianco. Oggi chiedono l’abolizione del celibato obbligatorio, approvano il divorzio, si pronunciano per lo smantellamento del Concordato. Sono solo dei segni, casi ancora isolati, voci spesso un po’ timide. Ma il discorso, a livello di coscienza e di realtà di base, è ben più radicato e complesso: una trama di gruppi e di presenze che si allarga, anche in Italia, con interventi autonomi entro ogni settore della vita della chiesa.
Perché anche i preti han cominciato a chiedersi chi sono. Pastori d’anime o funzionari a tempo pieno della più grande organizzazione del consenso mondiale? Ma il gregge, ormai da anni, non segue più come prima il pastore. Nell’ovile-parrocchia egli ha installato la sala da bigliardo, il cinema e la palestra di judo, ma le pecore continuano a “smarrirsi”. Gli uomini hanno abbandonato la campagna per la città, hanno trovato nuovi motivi d’unione, hanno sperimentato nuovi strumenti di partecipazione e di riabilitazione sociale. C’è stato anche un Concilio, tra i pastori più potenti, per “aggiornare” l’organizzazione e renderla capace di recuperare il suo gregge. Ma avrebbe dovuto essere cambiata radicalmente, trasformata in organizzazione di uomini. Così il Concilio è passato, e dopo una breve pausa di illusione o di attesa, molti tra i credenti hanno ripreso da soli la ricerca di Dio.
Immerso tra gli uomini, evidentemente, il prete-funzionario dell’organizzazione ecclesiale ha visto sempre più limitato il suo spazio d’azione, fino a una scelta di fondo. Da una parte la chiesa che, come istituzione organizzata del culto, ha scelto da secoli la via del potere nel mondo: supporto di base, all’inizio, delle primitive società rurali, e potente alleata, in seguito, degli schieramenti capitalistici e imperialistici di ogni parte de mondo: disposta all’esterno – attraverso i partiti cattolici – ai giochi politici più contorti della democrazia borghese, ma assolutamente centralizzata all’interno, autoritaria e verticistica attorno all’asse dio-papa-gerarchia-gregge. Dall’altra parte la chiesa come momento della fede, lontana dai miti delle sacre scritture, ma strettamente fedele al modello originale di cristianesimo comunitario da esse proposto; con un dio non da pregare ma da “realizzare” nelle opere di tutti i giorni e in amore con tutti gli uomini, che sono appunto il popolo di dio.
Questa seconda via significa, per il prete, rifiutare il suo ruolo di funzionario dell’apparato clericale per diventare membro della comunità degli uomini, coi quali dividere vita, sofferenze e lotte. In America latina e in tutto il terzo mondo ciò vuol dire rivoluzione, come hanno testimoniato Camilo Torres e tutti gli altri preti brasiliani, peruviani e boliviani che si sono apertamente schierati dalla parte dei poveri e della guerriglia, contro la violenza istituzionale delle strutture di cui proprio la chiesa è una delle componenti più importanti.
Negli Stati Uniti e in Europa la contestazione si è qualificata attraverso altre forme di lotta: rinuncia dei privilegi secolari del clero, rifiuto del principio di autorità verso i fedeli, partecipazione “alla pari” a tutte le esperienze degli uomini, nel lavoro (di qui la testimonianza dei preti-operai) e nella famiglia (di qui il rifiuto del celibato come obbligo). In altre parole, la desacralizzazione dello status sacerdotale, con la contemporanea rivalutazione del laicato come protagonista dell’esperienza religiosa. Le testimonianze più significative in tal senso sono venute dalla Francia (gruppo “Echanges et dialogue”) e dall’Olanda (Nuovo catechismo), oltre che da tutta una serie di gruppi e di studiosi di varia formazione, coagulati attorno alla nuova teologia della “morte di dio”.
La chiesa-apparato ha risposto con la tattica di sempre all’offensiva di questa ”nuova” chiesa: repressione verso i singoli preti e tentativo di riassorbimento della novità teologica attraverso le mediazioni morbide del dogma e le riforme lente e superficiali della struttura. E dove il Concilio ha lasciato aperto qualche piccolo spiraglio verso posizioni appena progressiste, allora è intervenuto d’autorità il capo supremo della gerarchia a sancire i suoi principi infallibili: come l’enciclica Humanae Vitae per dire no al controllo delle nascite, o la Sacerdotalis Caelibatus per proibire il matrimonio dei preti, o il pellegrinaggio a Fatima per rinverdire il volto più feticista della fede, o il viaggio nell’America latina per puntellare con discorsi reboanti – sulle “ingiustizie sociali” e sulle “condizioni inumane” del popolo – alcuni regimi dittatoriali fondati appunto sul consenso della chiesa ufficiale. Sicché il ruolo di mediatori progressisti è stato assunto proprio da quei settori di gerarchia dove più pressante si è manifestata la contestazione: dalla chiesa di Francia (che per esempio non ha ratificato la proibizione della pillola) e di quella dell’Olanda (con la recente conferenza episcopale in favore del celibato), oltre che da alcune personalità di indubbio seguito, primo fra tutti il Primate del Belgio cardinale Suenens.
In Italia il movimento di contestazione è venuto fuori dalla stessa realtà sociale che ha provocato prima la lotta studentesca e poi la lunga battaglia sindacale. E si è scontrato subito con una struttura tra le più mastodontiche e insensibili della chiesa mondiale, la Conferenza episcopale italiana: la CEI, creata per distinguere almeno formalmente la Santa Sede dal clero italiano, ma rimasta sempre legata nella gran maggioranza dei suoi membri – soprattutto i capi delle piccole diocesi – agli orientamenti più conservatori della curia.
Don Milani. Già questa gerarchia aveva cercato in tutti i modi di stroncare le voci profetiche più limpide e profonde che negli anni precedenti si erano levate nel nostro paese, quelle di don Primo Mazzolari e di don Lorenzo Milani, così come si era sforzata costantemente di bloccare ogni serio tentativo di ricerca autonoma da parte dei teologi e dei gruppi più impegnati intorno ai temi conciliari. Ma proprio dall’ultimo lavoro di don Milani, la Lettera a una professoressa, è venuta forse la scintilla che ha provocato la prima azione “pubblica” della contestazione: l’occupazione dell’Università Cattolica di Milano alla fine del 1967. (E molto significativa nel 1965 era stata anche l’azione per l’obiezione di coscienza condotta da un gruppo di giovani discepoli dello stesso don Milani.)
Dopo la Cattolica, la contestazione ha toccato Bologna (assemblea dei gruppi spontanei per una nuova sinistra), Trento (azione contro il quaresimale), Parma (occupazione del duomo) e ancora Milano (occupazione del San Ferdinando). Poi a Firenze è esplosa la vicenda dell’Isolotto, che è diventata subito il termine di paragone più probante ed esplicito di ogni tipo d’azione all’interno della chiesa: gerarchia da una parte e popolo di fedeli dall’altra, in uno scontro violento e quasi schematico di interessi, ideologie. consapevolezze opposte.
Gli ultimi casi pubblici sono stati il libretto verde pro-divorzio del gruppo “preti e laici solidali” del Piemonte, e la presa di posizione anticelibato dei parroci di Campiano, presso Ravenna. E non è certo casuale che tali “pronunciamenti” siano avvenuti proprio nei centri di governo di due tra i porporati considerati più aperti nell’ambito della gerarchia italiana, il cardinale Michele Pellegrino e l’arcivescovo Salvatore Baldassarri. In quest’ultimo caso è piuttosto da rilevare come l’atto inquisitorio repressivo della curia romana, e cioè l’invio a Ravenna di un “visitatore apostolico”, sia stato bloccato proprio dalla “pubblicità” che il vescovo ha sollevato intorno alla vicenda: una pubblicità che si è tradotta sostanzialmente in un richiamo di solidarietà e di corresponsabilità che l’opinione pubblica ha mostrato in varie forme di accogliere.
Dietro a questi casi di contestazione divenuta pubblica – spesso per cause accidentali – vi è una realtà quanto mai ricca e varia di iniziative e di prese di coscienza in ogni parte d’Italia. Sono gruppi di laici e di preti che all’impegno religioso hanno aggiunto quasi sempre un impegno politico in prima persona, nelle ACLI, nel sindacato, nelle sinistre dei partiti, nelle formazioni extrapartitiche. E dall’impegno politico molto spesso hanno ricavato con chiara determinazione i modelli di lotta da portare all’interno dell’apparato della chiesa. Evidentemente. sono gruppi molto diversi tra loro e in continua fase di mutazione interna, nella misura in cui elaborazione teorica e impegno pubblico costantemente si approfondiscono e si arricchiscono appunto di nuovi contenuti. Che si pongano all’interno della struttura, o che ne siano uscite fuori, queste esperienze non sembrano in ogni caso facilmente riassorbibili dall’apparato della chiesa. Tanto più ora che, con varie iniziative (assemblee, bollettini, eccetera), questi gruppi hanno cominciato a incontrarsi e a lavorare insieme.
http://astrolabio.senato.it/astrolabio/files/1970/1970_11.pdf#page=13