Astrolabio 1969/9 – 2 marzo 1969
Oltre seimila impiegati e tecnici milanesi sono entrati in agitazione: scioperi, volantini, cortei, assemblee, occupazioni. I “colletti bianchi” si sono svegliati definitivamente dopo un sonno che nelle intenzioni dei padroni doveva continuare in eterno
Da qualche settimana all’lntersind e all’Assolombarda non si stanno occupando che di loro, dei “colletti bianchi”. Ed è una grana tremenda, che ha colto i dirigenti di corso Europa e di via Pantano in contropiede, completamente impreparati. Facciano pure i loro scioperi – dicevano fino a qualche tempo fa – saranno sempre i soliti quattro gatti velleitari della commissione interna. Ma i quattro gatti si sono moltiplicati, sono cresciuti in proporzione geometrica, e oggi sono oltre seimila, a Milano, gli impiegati e i tecnici in agitazione: cento ore di sciopero in poco più di un mese, picchetti volantini e cortei in piazza, assemblee e gruppi di studio, occupazione di uffici e di mezzi pubblici.
Un risveglio brusco e prorompente, dopo un sonno profondissimo che durava da decenni, praticamente da sempre, collaboratori preziosi e diretti del padrone e cani da guardia degli operai, i “colletti bianchi” erano sempre vissuti in un limbo dorato creato apposta per loro. Un lavoro di concetto, in cui non ci si sporca le mani, un lavoro “di soddisfazione”, a contatto sempre coi dirigenti e col principale; un’attività creativa regolata secondo gli schemi precisi della scienza e della tecnica, un’attività pulita, da non contaminare con parole o pensieri di odore sindacale; un lavoro finalmente di responsabilità per gli equiparati, una camicia bianca e la cravatta dopo tanti anni in tuta con gli operai. Ogni tavolo d’ufficio come un piccolo guscio entro cui nascondere la propria dignità: si parla di calcio macchine e vacanze: la politica fuori, da coltivarsi come l’hobby delle farfalle o la passione per la caccia. La contestazione studentesca esplosa lo scorso anno ha fatto saltare anche questo lungo e profondissimo sonno.
I comitati di studio. Sono gli studenti lavoratori, all’inizio, che portano in ufficio il germe di discorsi, idee e proposte diverse: l’astruso linguaggio ufficiale del movimento studentesco si stempera in definizioni più piane e concise, si arricchisce di contenuti più consapevoli e articolati. Alla SNAM progetti e alla SIT-Siemens già nel marzo 1968 si costituiscono dei comitati di studio che, affiancandosi spontaneamente alle sezioni sindacali, tendono a elaborare piattaforme comuni di lotta. E’ un dialogo, questo, completamente nuovo e originale. Per inserirsi in un settore in cui non ha nessuna tradizione e scarsissimo seguito, il sindacato deve rinunciare a ogni tentativo di egemonizzare il movimento dei “colletti bianchi”, deve anzi accettare di muoversi entro modelli e con ruoli assai diversi dai consueti: nei comitati di studio e in assemblea, in posizione spesso di semplice consulenza tecnica o di copertura formale burocratica.
Nel maggio-giugno 1968, circa 500 impiegati della Falk scendono in lotta insieme con gli operai, in uno sciopero che dura complessivamente 48 ore. Si bloccano subito dopo tutte le fabbriche dell’Italsider, per l’agitazione che i tecnici portano avanti in modo compatto, prima con gli operai e poi da soli. Il gruppo di vendita dell’Olivetti entra in sciopero in autunno: l’intero settore commerciale della società è paralizzato, e per la prima volta nella storia sindacale i “colletti bianchi” scendono in piazza a manifestare con cortei e cartelli, bloccano il traffico e si scontrano con la polizia. Alla fine del 1968 sono in agitazione gli impiegati e i tecnici dell’Alfa Romeo. della Face Standard (un’azienda del gruppo americano Itt), della Dalmine, della Siemens Elettra, della Breda (Termomeccanica, Fucine, Elettromeccanica, Ferroviaria). La piattaforma rivendicativa si basa in genere su queste richieste: controllo della mobilità interna del personale, pubblicazione dei criteri adottati per gli aumenti di merito, perequazione degli stipendi, nuova regolazione delle ferie e dell’orario.
La sorte del laureato. Alla SNAM progetti di San Donato i 1200 tecnici del gruppo ENI occupano il “bunker”, il grosso capannone entro cui si svolge il loro lavoro, e si costituiscono in assemblea permanente. Vengono formate delle commissioni di studio (sulla condizione della donna in fabbrica, sulla politica dell’azienda, sul ruolo del tecnico nella moderna società industriale) e si approfondiscono i contatti con le commissioni interne delle altre aziende in lotta e con il Movimento studentesco. Ne escono documenti ciclostilati con stile pulito e impeccabile, elaborati in modo sempre più incisivo e consapevole. “L’efficienza capitalistica è soprattutto efficienza nel comandare e nell’ubbidire. Le economie di scala, la pace sindacale, la possibilità di esportare lo sfruttamento sia a livello finanziario sia a livello industriale contano immensamente di più della capacità tecnica o del sapere scientifico. Il laureato nell’industria farà il venditore, il public relation man, l’addetto alla tecnica direzionale, il sorvegliante, l’impiegato di concetto, il dirigente; quasi mai il tecnico. La dote che gli viene richiesta più di qualsiasi altra è l’affidabilità, la capacità di identificarsi con l’azienda. Ed egli sarà selezionato e automaticamente posto gerarchicamente più in alto di tutti i non laureati perché la propensione a obbedire acquisita nel lungo tirocinio universitario garantisce già della sua affidabilità”.
E ancora: “Il pezzo forte dell’armamentario propagandistico usato dal sistema per legare a sé gli impiegati laureati (per gli altri c’è solo l’assegno ad personam) è dato dal fatto che la quasi totalità dei dirigenti sono per l’appunto dei laureati. Quindi la prospettiva del salto da impiegato a dirigente potrebbe essere la classica carota per far marciare a pieno regime i quadri addetti alla produzione. Può darsi che la speranza del passaggio tra i boss, con la scrivania dalle maniglie dorate e tutti gli altri appannaggi e le glorie del titolo (soprattutto il congruo aumento di prebende) faccia ancora presa su coloro che hanno lo spirito ormai fiaccato da anni e anni di routine, ma non è certo abbastanza per allettare i quadri nuovi, che entrano in azienda con uno spirito assai più critico”.
L’esperienza di regime assembleare dura I0 giorni alla SNAM progetti, cioè sino alla firma dell’accordo con la direzione.
I duemila della Siemens. Verso la fine del 1968 si muove anche la SIT-Siemens. Un referendum elaborato dal comitato di studio e dalle sezioni sindacali pone alla fine questa domanda: sei disposto a sostenere l’agitazione? Rispondono di sì più di seicento impiegati. In dicembre l’assemblea approva la piattaforma rivendicativa (alle richieste ormai consuete per il settore si aggiunge quella dell’autogestione dell’aggiornamento professionale, con 4 ore settimanali) e propone alla discussione argomenti finora tabù: è lecito il picchetto? Questo tipo di preoccupazione “legalista” accompagna tutta la prima parte della lotta, che esplode nello sciopero del 24 gennaio scorso.
Quel giorno in effetti i picchetti si fanno: ”L’impedimento – dice un volantino – deve essere passivo, rivolto allo scopo di mettere il dissenziente di fronte al fatto che esiste un bisogno a un ‘azione collettiva, che egli non può ignorare perché riguarda anche lui. In questo contesto il picchetto è un mezzo per dare un reale contenuto alla libertà di sciopero. In realtà non si è liberi di scioperare: l’azienda possiede molti strumenti per premere su chi sciopera e per incentivare chi non sciopera. Da questo punto di vista l’azione di picchetto è liberatrice in quanto contrappone alla pressione della direzione una forza contraria”. Così, fuori dai cancelli rimangono più di duemila impiegati. Vicino alle dattilografe di terza categoria (50-60 mila lire al mese) e ai diplomati e ai neolaureati di seconda (80-90 mila), ci sono anche i prima categoria (140-150 mila) e i prima super (oltre 200 mila). E’ una rivelazione per tutti: dall’interno gli operai applaudono, al Palazzo dello sport, poco più tardi, sono circa 1500 in assemblea.
“Non torneremo indietro”. Febbraio è il mese caldo. Alla SIT-Siemens si sciopera il giorno 3 (tutta la giornata), il giorno 4 (2 ore al mattino e tutto il pomeriggio) e il giorno 5 (per le pensioni). Martedì 11, circa 600 impiegati comprano insieme il biglietto della metro e salgono con cartelli e volantini sulle vetture: lo definiscono “riempimento”, ma è una vera e propria occupazione che provoca ritardi a catena e che si conclude senza incidenti. Due giorni dopo, anche le altre società del gruppo IRI (Dalmine, Asgen, Salmoiraghi e Breda) scendono in piazza con la SIT-Siemens: è un corteo di 4 mila impiegati che paralizza per un paio d’ore il centro cittadino, una ferma risposta al modo sprezzante con cui l’Intersind sta conducendo le trattative.
Si tende infatti, da parte dell’organizzazione padronale, a ritardare il più possibile ogni presa di contatto, a tener separate le vertenze degli impiegati da quelle degli operai, che invece in molti casi stanno procedendo di pari passo: prima gli operai – si sentono dire i sindacati – per gli impiegati si vedrà. Lunedì 17 viene occupato il palazzo degli uffici della SIT-Siemens, e un’assemblea si svolge nel salone della direzione all’ottavo piano, disertata sdegnosamente dal direttore generale. L’azione si ripete il venerdì successivo, e poi ancora lunedì 24, in una escalation di scioperi di mezza giornata che gli impiegati hanno programmato per due volte la settimana a tempo indeterminato. Alla fine di febbraio si fermano con sciopero a singhiozzo anche i tecnici dell’Asgen, della Filotecnica, della Borletti.
“Indietro, certo, non torneremo” – dice un ingegnere della SIT-Siemens, categoria prima super – è stata una presa di coscienza generale e profonda, anche se maturata per quasi tutti noi nel breve tempo di un mese. Abbiamo scoperto la vera realtà della condizione del tecnico e dell’impiegato nell’azienda moderna: è una condizione indegna e alienante sul piano individuale, che può essere riscattata con la lotta sul piano collettivo. Insieme con gli operai, collegati coi movimenti della contestazione studentesca”.
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