Tanto attesa alla Scala, questa Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai è stata una grande delusione. Non per la musica, diretta egregiamente da Fabio Luisi, ma a causa di una regia bislacca (David Pountney), che pure partiva da una bella idea scenografica: il busto di donna trafitto dalle spade.
Questa non è la Francesca cantata da Dante, la giovinetta semplice trascinata nel vortice amoroso con Paolo dalla lettura del libro di Galeotto. La Francesca di Zandonai è quella ispirata dalla tragedia di Gabriele D’Annunzio: una donna forte, capace di stare accanto ai guerrieri in battaglia e amante consapevole di Piero, l’uomo che ingannevolmente le era stato promesso.
Peccato però che in questa versione dell’opera, assente alla Scala dal 1959, si vedano sulla scena azioni, arredi e costumi disparati e incongrui: un cannone enorme e decine di altri cannoni che sparano sulla platea subito dopo che i guerrieri in scena hanno combattuto con corazza, lancia e balestra; ancelle di Francesca di volta in volta in costume medievale, in camice da infermiera o con lunghi e stretti cappotti militari tipo SS o KGB; un aereo della prima guerra mondiale tra le braccia del grande busto di donna trafitto dalle spade…
Assai difficile per gli spettatori lasciarsi trasportare nell’azione drammatica dal canto e dalla musica. Ma perché dar vita, con tanto lavoro e passione, a un’opera così complessa inseguendo modelli così vistosamente cervellotici?