Il dottore del lager che amava tanto la musica

“Si immagini un uomo tranquillo, che conosce il corpo umano, che sa quanta forza lavoro resta ancora in questo corpo, che non sbaglia mai. Sa misurare in chili, nervi, giorni, calorie quanto vale un corpo umano. Per anni osserva corpi nudi, ebrei, polacchi, olandesi, serbi, belgi, norvegesi. Sa anche per quanti mesi o settimane durerà la forza che c’è in un corpo. Se ne intende. Così come uno straccivendolo non butta via neanche uno straccetto, perché sa che in una grossa balla anche questo vale qualcosa, se ne potrà fare della carta, allo stesso modo il dottore sa quanto vale un polacco magro o un ungherese di cinquant’anni. Poi alza la mano e indica.

Sa, dopo aver visto molte volte questo gesto, ho capito fino a che punto i tedeschi sono un popolo musicale… Non sto scherzando, lo dico seriamente. Amano molto la musica. Il dottore, quando poteva, accendeva il suo grammofono, aveva dei dischi splendidi in ambulatorio, Bach nell’esecuzione della London Philarmonic, e Mozart. Nel gesto con cui indicava destra o sinistra, camera a gas oppure qualche settimana supplementare di lavoro, in quel suo gesto c’era qualcosa che ricordava un direttore d’orchestra.

E’ innegabile… Soltanto un musicista sa levare in alto la mano a quel modo, in un gesto morbido ed energico al tempo stesso, pieno di slancio, un direttore d’orchestra che leva la mano sente e domina il ritmo… capisce?” dice la donna ora a voce alta.

 

[da Sandor Marai, Liberazione, Adelphy 2008, pp. 96, 97]

 

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